18 marzo 2015

Dolce morte: anche l’Olanda fa i conti con i medici obiettori

Gaby Olthuis aveva 47 anni e soffriva di iperacusia, un'alterazione celebrale nell'elaborazione dei suoni per cui ogni rumore diventava un suono terribile da sopportare. Il suo nome sicuramente non dirà nulla ai più ma in Olanda questa mamma ha fatto parlare di sé un'intera nazione.
Gaby ha infatti scelto di porre fine alla sua vita con l'eutanasia, che nei Paesi Bassi è ammessa in caso di cancro o di altre malattie fisiche ma anche in pazienti psichiatrici, con demenza o “stanchi di vivere” perchè destinati a convivere con una pessima qualità di vita, non causata principalmente da una malattia ma tale da far desiderare la morte. L'episodio, non l'unico, ha dato il via ad un acceso dibattito che ha coinvolto anche la figura dei medici, che in alcuni si sono rifiutati di aiutare questo tipo di pazienti a morire: «eutanasia e suicidio assistito sono legalmente ed eticamente accettabili in pazienti in queste condizioni?», «se sì, i medici dovrebbero essere disposti a fornirli?» e ancora «è giusto che i medici possano rifiutarsi per motivi personali di aiutare un paziente che lo richiede?», sono alcune delle domande con cui l'opinione pubblica olandese sta facendo i conti.
L’eutanasia vista dai medici
Un piccolo studio condotto dai ricercatori dell'Università di Amsterdam e dell'Università di Rotterdam ha cercato di indagare il punto di vista dei medici, cosa ne pensano e quali fattori influenzano la loro decisione in merito a eutanasia e suicidio assistito. I risultati, pubblicati online sul Journal of medical ethics, rivista del gruppo Bmj, parlano chiaro: solo una minoranza di medici trova concepibile aiutare un malato psichiatrico o una persona malata di mente a morire, e quei medici che si oppongono all'idea lo fanno sia per ragioni legali che personali.
«Una delle più difficili richieste che un medico può ricevere è quella di applicare l'eutanasia o il suicidio assistito», scrivono come prima cosa i ricercatori nello studio. «Ciascuna richiesta richiede un'attenta riflessione da parte del medico, un processo che può avere un notevole impatto emotivo».
Questione di legge
Ma andiamo per gradi. Nei paesi in cui eutanasia (somministrazione di un farmaco letale) o suicidio assistito (prescrizione di un farmaco letale) sono permessi in certe circostanze (Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Svizzera e quattro stati americani), il paziente ne fa richiesta e il medico può accettare o rifiutare tale richiesta per motivi personali, etici e psicologici, sempre nei limiti di legge.
Il dottore, quindi, è libero di rifiutare, e il paziente non ha un “diritto all'eutanasia”.
Ma proprio questa “libertà di rifiutare”, quando basata su ragioni personali e non su obiezioni legali, è oggetto di un grosso dibattito nei Paesi Bassi.
Qui la maggior parte delle richieste di suicidio assistito viene da pazienti malati di cancro (72%) o di altra malattia fisica (19%). Sono una minoranza le richieste da pazienti con demenza (4%), malattia psichiatrica (2%) e stanchi di vivere ma privi di malattia grave (3%).
Così pochi, ma sufficienti a suscitare delle perplessità.
Non c’è una classifica delle sofferenze
Come previsto dalla legislazione olandese, il “Termination of life on request and assisted auicide act” del 2002, il medico deve appurare la presenza di specifici criteri prima di dare la “dolce morte”, per esempio l'esistenza di una sofferenza insopportabile senza prospettive di miglioramento, la mancanza di trattamenti alternativi, una richiesta volontaria e ben ponderata, deve informare il paziente sulla situazione e sulla prognosi e deve sentire il parere di un altro medico.
La legge non fa cenno a restrizioni sulle cause della sofferenza, non si distingue tra quelle fisiche e quelle psichiatriche, si legge nello studio. Per il Regional review committees, che supervisiona la correttezza delle procedure, nei pazienti con malattia psichiatrica, demenza o stanchi di vivere bisogna prestare un'attenzione in più perchè è difficile stabilire se rispondono ai criteri stabiliti dalla legge. Nel caso di malattia psichiatrica bisognerebbe valutare attentamente se la richiesta è volontaria e ben ponderata, oppure se c'è demenza a uno stadio avanzato è meglio che il paziente abbia firmato una direttiva anticipata di fine vita, e ancora, nelle richieste dei pazienti stanchi di vivere il medico deve valutare la sofferenza sulla base di un fondamento medico.
Domande difficili
Ma passare dalla teoria alla pratica non è cosa semplice. Come stabilire che il desiderio di morire in un paziente psichiatrico derivi dalla sua volontà e non sia piuttosto una manifestazione della malattia? E come porsi di fronte ai casi di pazienti depressi, che hanno manifestato più volte il desiderio di morire? Come valutare su base medica la sofferenza di chi non ha malattie gravi ma è stanco di vivere senza incappare in forzature?
Insomma, date queste premesse, si capisce quanto il terreno su cui si muovono medici e specialisti olandesi sia impervio e scivoloso, tanto che quando vengono chiamati in causa dai pazienti diventa per loro difficile analizzare le richieste e scegliere se assecondare o no le loro decisioni. Già in passato alcuni studi avevano trovato un nesso tra le cause della sofferenza e la predisposizione dei medici verso eutanasia e suicidio assistito, ma ora i ricercatori guidati da Eva Bolt, dell'Emgo Institute for health and care research e del centro medico dell'Università di Amsterdam, hanno voluto capire quanto peso effettivamente abbia il tipo di malattia del paziente sulla valutazione finale del medico.
Così hanno raccolto il parere di un campione casuale di 2.269 tra medici di famiglia, specialisti nell'assistenza agli anziani, in cardiologia, medicina respiratoria, terapia intensiva, neurologia e medicina interna. Le interviste sono state condotte tra ottobre 2011 e giugno 2012. Ai medici è stato chiesto se avessero mai aiutato a morire un paziente e di quale malattia o disturbo fosse affetto e nel caso di risposta negativa i ricercatori hanno indagato se avessero mai preso in considerazione questa possibilità e in quali circostanze.
Suicidio assistito sì, ma non per il disagio mentale
I risultati dei questionari fanno emergere una classe medica poco propensa ad aiutare il paziente a morire se non ci sono di mezzo gravi malattie fisiche. Dei 1.456 medici che hanno completato il sondaggio, circa tre su quattro (77%) ha ricevuto almeno una volta una richiesta di suicidio. Percentuale che sale a più di nove su dieci tra i medici di medicina generale. La maggior parte degli intervistati, l'86%, ha dichiarato che prenderebbe in considerazione di aiutare un paziente a morire, mentre solo il 14% non lo farebbe.
Gli atteggiamenti verso eutanasia e suicidio assistito variano in base alle condizioni dei pazienti: la maggior parte dei medici potrebbe considerare l'opzione per un paziente con il cancro (85%) o di altre malattie fisiche (82%). Ma solo un terzo circa (34%) potrebbe considerarla per chi ha una malattia mentale. Più nel dettaglio, quattro su dieci sarebbero disposti ad aiutare a morire qualcuno ad uno stadio precoce di demenza, ma solo uno su tre lo farebbe in caso di demenza avanzata (quando il soggetto non è capace di intendere), anche se quel paziente avesse firmato una direttiva anticipata per l'eutanasia. Un medico su quattro (27%) sarebbe disposto a praticare il suicidio assistito a una persona stanca di vivere se affetta da malattia grave, ma la cifra scende a meno di uno su cinque (18%) se la sofferenza del paziente non è causata da motivi medici.
I motivi della riluttanza sono legati in parte ai criteri di legge, per esempio la difficoltà a stabilire se la sofferenza psicosociale o esistenziale di un malato di demenza ai primi stadi o di un soggetto stanco di vivere sia "insopportabile", come si richiede per concedere il fine vita. In caso di demenza avanzata, secondo i medici, non si può stabilire se il paziente sta soffrendo in maniera insopportabile perché incapace di comunicare, e il fatto che ci sia una direttiva anticipata non elimina le obiezioni morali, visto che si tratta pur sempre di un malato che potrebbe non comprendere pienamente cosa sta accadendo. Nel caso di pazienti psichiatrici, invece, il dubbio che frena i medici è se davvero non ci siano altre opzioni di trattamento disponibili prima di dare la dolce morte.
Di certo l'argomento è quanto mai delicato, data la particolare natura dei problemi dei pazienti psichiatrici o affetti da demenza e la difficoltà di stabilire con certezza la volontarietà delle decisioni sul fine vita. «Ogni medico ha bisogno di formare il proprio punto di vista sull'eutanasia, sulla base di confini legali e valori personali», scrive la ricercatrice Eva Bolt commentando i dati emersi. «È importante che le persone con un desiderio di fine vita ne discutano in tempo con il proprio medico, e ai medici consigliamo di essere chiari sul loro punto di vista».
Italia al palo
Mentre nei Paesi Bassi il dibattito sul fine vita è a un livello avanzato, visto che si parla degli effetti controversi della legge e del diritto dei medici all'obiezione, in Italia è praticamente fermo al palo. Non esiste una regolamentazione in materia e la legge popolare per la depenalizzazione dell'eutanasia e per il testamento biologico, depositata dall'Associazione Luca Coscioni e dal Comitato Eutanasia Legale nel settembre 2013, attende ancora di essere discussa dalla Camera dei Deputati. Eppure il consenso da parte dell'opinione pubblica e degli addetti al lavoro non mancherebbe. L'ultimo Rapporto Italia 2015 dell'Eurispes fotografa una popolazione italiana favorevole per il 55,2% favorevole all'eutanasia, mentre il testamento biologico fa registrare il 67,5% dei consensi.
Tendenza simile anche tra i medici. Secondo il Medscape Ethics Report 2014, un'indagine svolta su oltre 21 mila medici di diverse nazionalità e presentata a dicembre 2014, in Italia quelli favorevoli a una legislazione sul suicidio assistito sono il 42% e superano quelli contrari, il 34%. Per il restante 24% dei medici invece “dipende” dalle condizioni del paziente. L'Italia si posiziona dopo Regno Unito e Germania, dove è favorevole il 47% dei medici ma prima di Francia, col 40%, e di Spagna, 36%, dove i contrari superano i favorevoli. 
 
Scritto da Roberta Pizzolante
Articolo interamente tratto da http://www.healthdesk.it/

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